Biologia

Considerazioni sull’evoluzione del genere Betta

di Eugenio Fornasiero e Associazione Italiana Betta
Articolo pubblicato su Aquariophylia 8-133, numero monografico dedicato ai Betta

 

Col nome di Labirintidi si indicano quei pesci caratterizzati dalla presenza di un organo respiratorio supplementare, detto labirinto, che consente a questi animali l’utilizzazione di ossigeno atmosferico per la respirazione.
Questo termine, benché di uso frequente, non corrisponde ad una riconosciuta entità tassonomica e viene comunemente impiegato per indicare i sottordini Anabantoidea e Channoidea, appartenenti all’ordine dei Perciformi.
Viene inoltre spesso usato impropriamente il termine Anabantidi (famiglia alla quale non appartengono il Betta ed altri generi affini, appartenenti invece alla famiglia Osphronemidae).
Benché scorretto dal punto di vista delle attuali conoscenze sistematiche, abbiamo preferito lasciare il temine “Anabantidi” nella maggior parte dei casi, perché il più conosciuto ed usato dagli acquariofili; l’aggiunta ripetitiva della corretta attribuzione avrebbe d’altra parte appesantito inutilmente la lettura. La terminologia corretta dovrebbe essere “Anabantoidi” quando si fa riferimento al sottordine nel suo insieme, e “Osphronemidae” quando ci si riferisce esclusivamente alla famiglia alla quale appartiene il genere Betta.
Per una visione aggiornata della tassonomia degli Anabantoidi si rimanda alla Fig. 1 dell’articolo Considerazioni sull’evoluzione del genere Betta, pubblicato in seguito.

 

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Primo piano di Betta splendens Show Plakat steel blue in parata.

 

Una delle ricchezze maggiori dell’acquariofilia è la varietà di discipline e conoscenze, che l’appassionato può incontrare avvicinandosi a questo mondo. Tra queste la biologia, comprendente tanti diversi rami, ha un posto di primo piano. Quale altro hobby fornisce l’occasione di leggere, di tanto in tanto, qualche articolo scientifico, trovando spunti e informazioni utili per sviluppare la propria passione?
Nel caso dei Betta è possibile trovare diversi generi di lavori, da quelli riguardanti la tassonomia e l’identificazione di nuove specie (solo nell’ultimo anno ne sono state descritte due nuove), a quelli relativi al comportamento e all’etologia, fino a quelli correlati all’evoluzione della specie. Proprio tra questi ultimi i Betta, o meglio la loro famiglia allargata, costituita dagli anabantoidi, forniscono da tempo una ricca materia di studio, che negli ultimi anni è diventata campo di lavoro per la filogenetica: la branca della biologia che punta a ricostruire gli alberi evolutivi delle diverse specie viventi, attraverso lo studio degli elementi comuni del codice genetico.
La speciazione è il processo in base al quale nuove specie si formano differenziandosi o sostituendosi a quelle preesistenti. La selezione naturale, in base alla quale sono avvantaggiati, hanno cioè più probabilità di essere trasmessi alla prole, dei caratteri di volta in volta più adatti alle condizioni ambientali alle quali è esposta una determinata popolazione e la deriva genetica, cioè la modifica casuale di caratteri non sottoposti a pressione selettiva, sono tra gli elementi trainanti della speciazione. Diversi fattori possono determinare l’insorgenza di nuove specie da una popolazione ancestrale originaria, che molto spesso è estinta e viene studiata tramite l’esame di fossili e confronto, su basi genetiche e/o morfologiche, con le popolazioni più recenti.
Tra questi meccanismi per i pesci d’acqua dolce, il più semplice da comprendere è la speciazione allopatrica, determinata dalla formazione di nuove barriere geografiche, come può essere la divisione di un bacino idrografico (che limiti l’areale di distribuzione di una determinata specie, o lo frammenti), portando così alla formazione di popolazioni isolate tra di loro. Le popolazioni così separate, perdendo la possibilità di incrociarsi a causa della sopravvenuta barriera, possono avviarsi verso cammini evolutivi diversi, dovuti alla casuale differenza nella composizione del pool genetico degli individui, componenti la popolazione che si è trovata isolata, o a differenze ambientali che ne influenzeranno il destino.
È possibile immaginare che un processo simile, possa avvenire a causa del cambiamento del corso di un fiume e/o della comparsa di dighe naturali, che portino alla formazione di nuovi laghi. Non sempre i processi di speciazione avvengono a causa di cambiamenti così drastici dell’ambiente. Gran parte dei processi di speciazione sono graduali e sono determinati da altri fenomeni, come la creazione di sottopopolazioni che hanno un areale di distribuzione solo in parte interconnesso ovvero per l’insorgenza di una criptospecie che, pur abitando la stessa regione, non è più interfeconda con la specie originaria.
Lo studio dei fenomeni di speciazione si basa sempre di più sulle tecniche di biologia molecolare che studiano il DNA e consentono di misurare in modo assai preciso le relazioni esistenti tra specie diverse. Le differenze che si riscontrano a livello del DNA studiando due specie diverse, infatti, permettono di calcolare non solo di “quanto” esse si differenziano, ma anche quanto tempo è passato da quando appartenevano a un’unica specie. Lo studio delle corrispondenze e differenziazioni nel DNA consente di costruire precisi alberi filogenetici che, come un albero genealogico, permettono di ripercorrere la storia evolutiva di una specie. In questa rappresentazione, un progenitore comune costituisce la base dell’albero da cui partono diverse linee di discendenza fino ad arrivare alle specie esistenti. Il progenitore più antico o ancestrale costituisce il tronco dell’albero, ciascuna biforcazione rappresenta l’antenato comune di due o più discendenti e la lunghezza delle ramificazioni rappresenta il tempo che intercorre tra la separazione di due specie da un antenato comune. Sebbene queste tecniche siano indirette, consentono di ricostruire con una buona precisione i tempi e modi in cui diverse popolazioni si sono evolute in specie autonome. Ulteriori dati paleontologici, biochimici e anatomici consentono di rafforzare le ipotesi e sviluppare un quadro più ampio di molti aspetti della storia dell’evoluzione.

 

Filogenesi
Gli anabantoidi erano già stati riconosciuti nel XIX secolo come un gruppo omogeneo, basandosi sulla presenza del peculiare organo chiamato ‘labirinto’.
Le prime ipotesi sull’evoluzione degli anabantoidi sviluppate in questo modo risalgono a circa trent’anni fa, quando Lauder e Liem (1983) li suddivisero in cinque famiglie, una delle quali (Osphronemidae) fu in seguito suddivisa in più sottofamiglie (Britz, 1995).
Due studi più recenti (Rüber et al., 2004 e Rüber et al., 2006) hanno ampliato e approfondito questa classificazione, sviluppando un’ipotesi evolutiva completa per la maggior parte del subordine degli Anabantoidei, da loro suddivisi nelle tre famiglie: Anabantidae, Helostomatidae (comprendente l’unica specie del genere Helostoma) e Osphronemidae.
Sulla base delle differenze genetiche è possibile ipotizzare i tempi di divergenza dei singoli generi e specie da un antenato comune: questi studi indicano che la separazione di Betta, Trichogaster e Colisa da un antenato comune risale a circa 33 milioni di anni fa. A metà dell’Oligocene (28 milioni di anni fa), i Betta sembrano essersi differenziati da Macropodus e Trichopsis.
All’interno del genere Betta le specie più antiche sembrano essere macrostoma (20 milioni di anni fa), unimaculata e splendens.
Per quanto riguarda B. smaragdina e B. imbellis, non è stato possibile calcolare quando queste specie si siano separate da B. splendens, ma sulla base delle analogie morfologiche e della facilità con la quale si possono ottenere degli ibridi, anche in natura, si può supporre che le distanze temporali che le dividono da B. splendens siano alquanto ridotte.

 

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Fig.1 – Albero filogenetico semplificato delle famiglie e generi appartenenti al sottordine Anabantoidea e sintesi del comportamento riproduttivo. Lo schema qui presentato vuole solo suggerire il processo di separazione dei generi di interesse, la lunghezza dei “rami” non è quindi proporzionale ai tempi di divergenza. Per un’analisi dettagliata a livello specifico e uno studio dei tempi di divergenza corrispondenti si rimanda a Rüber et al., 2006.

 

Cure parentali
Un argomento che ha affascinato scienziati e allevatori è sicuramente la presenza di cure parentali tra Betta e i labirintidi in generale. L’analisi filogenetica combinata a quella comportamentale permette di studiare l’evoluzione delle differenti forme di cure parentali presentate dagli anabantoidi. In un elegante studio della filogenesi e dell’evoluzione comportamentale di questi organismi, Rüber et al. (2006) ipotizzano che la condizione ancestrale (plesiomorfica) era di assenza di cure parentali e che queste si sono sviluppate indipendentemente in tre occasioni. In particolare nel genere Betta, che presenta sia costruttori di nidi sia incubatori orali, questi autori discutono quale dei due caratteri possa essere considerato come la condizione ancestrale.

 

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Nido di bolle di Betta splendens pieno di uova

 

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Betta splendens Show Plakat turquoise maschio cura il nido con i piccoli appena nati.

 

Le ipotesi che spiegherebbero questi cambiamenti comportamentali nella cura della prole sono numerose e coincidono con il cambiamento della dimensione delle uova (più grandi tra gli incubatori orali) e con il cambiamento considerevole della dimensione dei piccoli al momento del nuoto libero (con una massa spesso 10-20 volte maggiore al momento del nuoto libero negli incubatori orali). Se da un lato i piccoli degli incubatori orali sembrerebbero essere avvantaggiati per dimensione al momento del nuoto libero, i costruttori di nido hanno numerosi punti di forza che derivano dal limitato impiego di risorse e di tempo dei riproduttori (3-4 giorni nei quali i maschi non si cibano, contro i 14-25 gg degli incubatori orali) e dal notevole numero di piccoli (50-1000 contro i 10-50 degli incubatori orali). Con molta probabilità le differenze ambientali di corrente e di microfauna, oltre che la pressione dei predatori (sia per i genitori occupati nel mantenimento della prole che per i piccoli durante lo svezzamento) hanno determinato queste differenze tra i Betta. In generale appare plausibile che acque più mosse abbiano favorito l’incubazione orale (o la costruzione di nidi sommersi tra le foglie) mentre acque più stagnanti hanno permesso di tornare (o mantenere) ai vantaggi del nido di bolle. Un accurato studio dell’evoluzione delle cure parentali negli anabantoidi è stato condotto da Rüber et al. (2004)

 

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Betta channoides mentre incuba le uova, visibili in trasparenza nella sacca orale

 

Se da un lato si sta iniziando a capire quali siano gli anabantoidi più vicini al genere Betta, appare chiaro che molti particolari riguardo a questi pesci non sono ancora conosciuti. Manca, infatti, un’analisi filogenetica dettagliata di tutti i componenti del genere Betta. Inoltre, la descrizione delle aree geografiche delle diverse popolazioni è soltanto abbozzata e la distruzione degli habitat naturali non facilita il compito. La scoperta e la descrizione recente di nuove specie fa pensare che esistano ancora specie e sottopopolazioni sconosciute. Rispetto ad altri pesci è sicuramente notevole l’interesse degli allevatori amatoriali locali ed europei, e la creazione di organizzazioni che, come l’Associazione Italiana Betta (AIB ), hanno lo scopo di conservare e promuovere la diversità di questi affascinanti pesci, contribuisce a preservare le popolazioni a rischio di estinzione.

 

Bibliografia:

  • Lauder, G. V., and K. F. Liem. The evolution and interrelation-ships of the actinopterygian fishes. Bull. Mus. Comp. Zool. 1983, 150: 95–197.
  • Britz, R. Zur phylogenetischen Systematik der Anabantoidei (Teleostei, Percomorpha) unter Berücksichtigung der Stellung des Genus Luciocephalus. Morphologische und ethologische Unter-suchungen. PhD Thesis, Universität Tübingen, Tübingen, Germany, 1995.
  • Rüber, L., Britz, R., Tan, H., Ng, P., & Zardoya, R. Evolution of mouthbrooding and life-history correlates in the fighting fish genus Betta. Evolution, 2004 Apr; 58(4): 799-813.
  • Rüber, L., Britz, R., & Zardoya, R. Molecular phylogenetics and evolutionary diversification of labyrinth fishes. Systematic biology, 2006 Jun; 55(3): 374-97.
  • Jamsari, A. F. J., Noraznita, S., N, S. A. M., Lim, T. Y., Sains, U., & Studies, C. Phylogenetics of Malasyan Betta bubblenest brooders based on 16s rRNA. Proceedings of the 8th Malaysia Congress on Genetics, 4-6 August 2009, Genting Highlands, Malaysia: 257-261
  • Monvises, A., Nuangsaeng, B., Sriwattanarothai, N., & Panijpan, B. The Siamese fighting fish: Well-known generally but little-known scientifically. ScienceAsia 35 (2009): 8-16
  • Rüber, L. Labyrinth fishes (Anabantoidei). pp. 344-347 In: The timetree of life S.B. Hdges and S. Kumar Eds, Oxford University Press, 2009.

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